venerdì 20 dicembre 2013
sabato 14 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
martedì 3 dicembre 2013
Una lettera di pedagogisti e psicometristi al Ministro Carrozza...
Una lettera di pedagogisti e psicometristi al Ministro Carrozza
(Posted by Redazione ROARS on 1 dicembre 2013 at 17:40)
Pedagogisti e psicometristi scrivono al Ministro per denunciare il loro disagio per l’uso inappropriato degli strumenti di misura degli apprendimenti e, in particolare, delle prove strutturate. Se la Docimologia e la Psicometria vengono espropriate ai settori scientifici di competenza e affidate a consulenti ed esperti c’è il rischio che valutazione degli apprendimenti venga invalidata da un uso improprio delle metodologie di costruzione delle prove e di rilevazione, analisi e interpretazione dei dati.
______________________________
Alla professoressa Maria Chiara Carrozza
Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca
Gentile Ministro Carrozza,
fin dal suo insediamento, Lei ha posto l’accento sulla rilevanza del tema della valutazione in ambito scolastico. Come docenti di Pedagogia Sperimentale e Psicometria, condividiamo da sempre la rilevanza di questo tema. Ciononostante Le scriviamo per sottolineare il disagio che viviamo a fronte di un uso talvolta inappropriato degli strumenti di misura degli apprendimenti e, in particolare, delle prove strutturate. Specifici errori nella costruzione o nell’uso di questi strumenti, invece di contribuire a diffondere una seria cultura della valutazione rischiano di generare incidenti di percorso, gettando discredito su pratiche scientifiche che nel tempo hanno consolidato procedure e modelli di analisi rigorosi e affidabili.
La Docimologia e la Psicometria sono state espropriate ai settori scientifici di competenza e affidate a consulenti ed esperti con il risultato di alimentare sospetti e resistenze nei confronti dei processi di selezione e valutazione. Nell’offrirle la nostra collaborazione vorremmo anche sottolineare che se i problemi dell’assessment e della valutazione sono veramente rilevanti è necessario avviare una strategia di formazione che doti il paese delle competenze necessarie ad evitare il rischio che le opportunità derivate da un corretto modello di valutazione degli apprendimenti vengano invalidate da un uso improprio delle metodologie di costruzione delle prove e di rilevazione, analisi e interpretazione dei dati.
Qualora fosse interessata ad approfondire questa tematica volentieri metteremmo a Sua disposizione le nostre competenze e le nostre prassi di lavoro.
Ringraziandola fin d’ora per la Sua attenzione,
Fabio Lucidi, Sapienza Università di Roma, fabio.lucidi@uniroma1.it
Pietro Lucisano, Sapienza Università di Roma, pietro.lucisano@uniroma1.it
Renata Maria Viganò, Università Cattolica del Sacro Cuore”, renata.vigano@unicatt.it
Roma, 18 Luglio 2013
1. Franca Agnoli, Università degli Studi di Padova, Psicometria
2. Gianmarco Altoè, Università degli Studi di Cagliari, Psicometria
3. Gabriella Antonucci, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
4. Giovanni Arduini, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Pedagogia sperimentale
5. Alessandra Areni, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
6. Giorgio Asquini, Sapienza – Università di Roma, Pedagogia sperimentale
7. Giulia Balboni, Università degli Studi di Pisa, Psicometria
8. Michele Baldassarre, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Pedagogia sperimentale
9. Claudio Barbaranelli, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
10. Federico Batini, Università degli Studi di Perugia, Pedagogia sperimentale
11. Emiliana Bonanno, Università degli Studi di Padova, Pedagogia sperimentale
12. Andrea Bosco, Università degli Studi di Bari, Psicometria
13. Luigi Burigana, Università degli Studi di Padova, Psicometria
14. Antonino Callea, Università di Roma “Maria SS.Assunta”-LUMSA, Psicometria
15. Antonio Cartelli, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Pedagogia sperimentale
16. Letizia Caso, Università degli Studi di Bergamo, Psicometria
17. Corrado Caudek, Università degli Studi di Firenze, Psicometria
18. Luciano Cecconi, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Pedagogia sperimentale
19. Donatella Cesareni, Sapienza – Università di Roma, Pedagogia sperimentale
20. Francesca Chiesi, Università degli Studi di Firenze, Psicometria
21. Carlo Chiorri, Università degli Studi di Genova, Psicometria
22. Antonio Chirumbolo, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
23. Cristina Coggi, Università degli Studi di Torino, Pedagogia sperimentale
24. Salvatore Colazzo, Università del Salento, Pedagogia sperimentale
25. Cristiano Corsini, Università degli studi di Catania, Pedagogia sperimentale
26. Francesca D’Olimpio, Seconda Università di Napoli, Psicometria
27. Orlando De Pietro, Università della Calabria, Pedagogia sperimentale
28. Lisa Di Blas,Università degli Studi di Trieste, Psicometria
29. Luciano Di Mele, Sapienza – Università di Roma, Pedagogia sperimentale
30. Alessandro Di Vita, Università “kore” di Enna, Pedagogia sperimentale
31. Giuseppe Elia, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Pedagogia sperimentale
32. Palmira Faraci, Università Kore di Enna, Psicometria
33. Giovanni Battista Flebus, Università degli Studi di Milano- Bicocca, Psicometria
34. Paolo Frignani, Università degli Studi di Ferrara, Pedagogia sperimentale
35. Marcello Gallucci, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Psicometria
36. Maria Lucia Giovannini, Università degli Studi di Bologna, Pedagogia sperimentale
37. Claudio Girelli, Università degli Studi di Verona, Pedagogia sperimentale
38. Luca Girotti, Università degli Studi di Macerata, Pedagogia sperimentale
39. Augusto Gnisci, Seconda Università di Napoli, Psicometria
40. Teresa Grange, Università della Valle d’Aosta, Pedagogia sperimentale
41. Paola Gremigni, Università degli Studi di Bologna, Psicometria
42. Valentina Grion, Università degli Studi di Padova, Pedagogia sperimentale
43. Marco Guicciardi, Università degli Studi di Cagliari, Psicometria
44. Sonia Ingoglia, Università degli Studi di Palermo, Psicometria
45. Margherita Lanz, Università degli Studi di Milano“Cattolica del Sacro Cuore”, Psicometria
46. Luigi Leone, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
47. Pierpaolo Limone, Università degli Studi di Foggia, Pedagogia sperimentale
48. Barbara Loera, Università degli Studi di Torino, Psicometria
49. Luigi Lombardi, Università degli Studi di Trento, Psicometria
50. Franco Lucchese, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
51. Elena Luppi, Università degli Studi di Bologna, Pedagogia sperimentale
52. Giovanna Manna, Università degli Studi di Palermo, Psicometria
53. Sergio Cesare Masin, Università degli Studi di Padova, Psicometria
54. Monica Mazza, Università degli Studi dell’Aquila, Psicometria
55. Renato Miceli, Torino, Psicometria
56. Katia Montalbetti, Università Cattolica di Milano, Pedagogia sperimentale
57. Achille Maria Notti, Università degli Studi di Salerno, Pedagogia sperimentale
58. Massimo Nucci, Università degli Studi di Padova, Psicometria
59. Antonella Nuzzaci, Università degli Studi dell’Aquila, Pedagogia sperimentale
60. Daniela Olmetti Peja, Università degli Studi Roma Tre, Pedagogia sperimentale
61. Arturo Orsini, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
62. Luisa Pandolfi, Università degli Studi di Sassari, Pedagogia sperimentale
63. Gisella Paoletti, Università degli Studi di Trieste, Pedagogia sperimentale
64. Nicola Paparella, Università del Salento, Pedagogia sperimentale
65. Margherita Pasini, Università degli Studi di Verona, Psicometria
66. Massimiliano Pastore, Università degli Studi di Padova, Psicometria
67. Marco Perugini, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Psicometria
68. Lina Pezzuti, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
69. Laura Piccioni, Università degli Studi di Chieti, Psicometria
70. Fabio Presaghi, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
71. Caterina Primi, Università degli Studi di Firenze, Psicometria
72. Emilia Restiglian, Università degli Studi di Padova, Pedagogia sperimentale
73. Paola Ricchiardi, Università degli Studi di Torino, Pedagogia sperimentale
74. Egidio Robusto, Università degli Studi di Padova, Psicometria
75. Germano Rossi, Università degli Studi di Milano- Bicocca, Psicometria
76. Aristide Saggino, Università degli Studi di Chieti, Psicometria
77. Pietro San Martini, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
78. Donatella Savio, Università degli studi di Pavia, Pedagogia sperimentale
79. Vega Scalera, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Pedagogia sperimentale
80. Teresa Gloria Scalisi, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
81. Vincenzo Paolo Senese, Seconda Università di Napoli, Psicometria
82. Grazia Spitoni, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
83. Luca Stefanutti, Università degli Studi di Padova, Psicometria
84. Semira Tagliabue, Università degli Studi di Milano“Cattolica del Sacro Cuore”, Psicometria
85. Rosanna Tammaro, Università degli Studi di Salerno, Pedagogia sperimentale
86. Silvia Testa, Università degli Studi di Torino, Psicometria
87. Marco Tommasi, Università degli Studi di Chieti, Psicometria
88. Elisa Truffelli, Università di Bologna, Pedagogia sperimentale
89. Ira Vannini, Università degli Studi di Bologna, Pedagogia sperimentale
90. Michele Vecchione, Sapienza- Università di Roma, Psicometria
91. Benedetto Vertecchi, Università degli Studi Roma Tre, Pedagogia sperimentale
92. Giulio Vidotto, Università degli Studi di Padova, Psicometria
93. Simon Villani, Università di Catania, Pedagogia sperimentale
94. Cristina Zaggia, Università degli Studi di Padova, Pedagogia sperimentale
95. Cristina Zogmaister, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Psicometria
Continua...
lunedì 25 novembre 2013
venerdì 22 novembre 2013
Bullismo! Perchè negare?
(Da affaritaliani.it)
Nel rispetto dei ruoli e delle competenze
Bullismo endemico all’istituzione scolastica come alla collettività
intorno? Mi sono confrontato con la prima linea professorale, ma anche
con quell’altra della retrovia, ho incontrato quella genitorialità che
non ammette giudizi né sentenze di appello, quando si tratta dei propri
figli. Il fenomeno del bullismo è un problema relazionale, che
attraversa le nostre famiglie, scuole, città, strade, a causa delle
nostre ripetute e reiterate mancanze e inefficienze, nessuno può
sentirsi autorizzato a non farci i conti.
Per tentare di arginare questo cratere di diseducazione virulenta, è
necessario non fare spallucce alle nostre lentezze, e soprattutto alle
nostre belle certezze, che non ci consentono di conoscere fino in fondo i
dubbi che delimitano aree problematiche di così grande spessore e
pericolo per un futuro a misura di uomo per i nostri ragazzi. E’
l’esperienza a darmi man forte, è la somma degli errori a rendere
obbligante un intervento che non può essere procrastinato, tanto meno
amputato nella sua incisività da forme di rigetto baronali o peggio
padronali, in ambiti che sono demarcati da confini, sì, sottili, ma
diventati frontiere da percorrere in lungo e in largo per conoscerne le
reali misure di contenimento. Indipendentemente da chi farà un passo
indietro per porsi dove c’è l’intera panoramica da indagare, è in
quest’ottica che dovranno essere presenti quattro poli convergenti:
genitori, insegnanti, studenti, territorio, per comunicare tra loro e
trasmettere informazioni, movendo una sinergia non di facciata, ma
realmente improntata al raggiungimento di obiettivi comuni.
La scuola è di tutti, soprattutto è comunità e condivisione, allora
ciascuno abbia il coraggio di mettersi nei panni dell’altro, e una volta
tanto, lo faccia con voce liberante, obbligando la scuola, e così se
stessi, a muovere dalle gabbie di partenza, quelle recintate con il filo
spinato delle deleghe sempre comode. Occorre sfuggire gli atteggiamenti
ottusi, in cui è difficile affrontare con un minimo di onestà e umiltà
il dibattito per arginare il fenomeno del bullismo, si preferisce
rifugiarsi in fuorigioco, creando una disattenzione che autorizza
l’accantonamento del rispetto delle regole, premiando i soliti furbetti
dalla botta facile, dal beverone, dallo spinello acceso. Occorre
prendere in esame iniziative volte a indagare non più e non solo il
mondo degli adolescenti, ma quello adulto, e non solo a scuola. E’
necessario approntare servizi di consulto nell’istituzione scolastica,
affinché chi è deputato a leggere oltre che a scrivere un voto, possa
ritrovare equilibrio e serenità per riconquistare rigore e
autorevolezza, rientrando a pieno titolo nel gioco delle relazioni.
Forse è anche il caso di spiegare a chi è genitore sulla carta, che lo è
pure sulla linea mediana della tutela, e che solamente insieme si fa
promozione, prevenzione, sviluppando capacità di partecipazione per
progettare interventi rivolti ai ragazzi, azioni di sostegno e
accompagnamento urgenti in attesa dell’incontro con il proprio futuro.
Vincenzo Andraous
Continua...
domenica 17 novembre 2013
Festa degli alberi
"Giornata
Nazionale degli Alberi”
il 21 novembre
Il testamento dell’albero
Un albero d’un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semetti a voi,
a voi, poveri uccelli,
perchè mi cantavate la canzone
della bella stagione…
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.
Un albero d’un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semetti a voi,
a voi, poveri uccelli,
perchè mi cantavate la canzone
della bella stagione…
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli.
(Trilussa)
Continua...
domenica 20 ottobre 2013
Scuola violenta... altra faccia della realtà!
Il comportamento dei bambini di oggi. Lo sfogo di un'insegnante
Il comportamento dei bambini di oggi. Lo sfogo di un'insegnante
Maleducazione,
violenza, episodi di bullismo. I ragazzi di oggi si sono ormai
conquistati la fama di essere una generazione di gran lunga peggiore
delle precedenti. Si parla spesso di ragazzi delle scuole medie e
superiori, ma che dire dei bambini? Che dire dei piccoli che affollano
la scuola dell’infanzia, ovvero di coloro che vanno dai 3 ai 5 anni?
Se
c’è ancora chi ha in mente l’immagine idilliaca di un gruppo di
angioletti che ascoltano in silenzio le fiabe, fanno il girotondo
tenendosi amorevolmente per mano e stanno educatamente in coda per
aspettare il proprio turno, è bene che faccia un salto in una scuola per
chiarirsi le idee. Altrimenti può leggere lo sfogo di G.F.,
un’insegnante di una delle tante scuole dell’infanzia fiorentine, in
servizio da trent’anni.
“Ho sempre messo tantissima professionalità e
passione nel mio lavoro, nella convinzione che i bambini non vanno solo
‘badati’, dunque non limitandomi a tenerli buoni, bensì organizzando
progetti ed iniziative di ogni genere. Dalla creta alla pasta di sale,
dalla pittura sulle lenzuola a quella con le patate; dalle recite alle
gite fuori porta, dalle storie lette a quelle inventate dai bambini.
Canzoni, balli e recite, insegnamento dei colori, dei cinque sensi,
dell’anatomia.
Ma negli ultimi anni realizzare tutto ciò è sempre più
difficile, anche perché le classi sono molto numerose: una sola
ingnante ha una classe che va da un minimo di 25 a un massimo di 28
bambini. Mentre parlo i bambini urlano, si picchiano, si lanciano sedie.
Mi giro un attimo ad aiutarne uno che subito qualcun altro ne combina
di tutti i colori. Simulano le lotte che vedono nei cartoni animati, con
mosse da pugili professionisti. Si danno testate e pugni come se niente
fosse e non ascoltano minimamente. Oggi addirittura, dopo un
‘mini-combattimento’ un bambino ha esclamato ‘Sono stato fantastico!’.
Non c’è né rispetto né educazione, questa è la gran parte dei bambini di
oggi, che purtroppo rendono impossibile anche la gestione di quelli più
calmi e attenti. Parlando con i genitori si scopre poi che molti
passano ore davanti alla televisione ed ai videogiochi, assistendo a
programmi violenti e giocando, appunto, a fare a botte . Per questo
chiedo ai genitori più collaborazione: il problema infatti non può
essere risolto solo dalla scuola, i genitori dovrebbero essere i primi
nel sensibilizzare ed educare i bambini. Molti ci dicono che ci provano
ma non ce la fanno; qualcuno invece passa così poco tempo con i figli
che non si rende conto di certe situazioni. E’ da notare poi che tanti
sono davvero intelligenti e apprendono facilmente, ma questo passa in
secondo piano perché il problema è il comportamento. Non vorrei fare
discorsi qualunquisti, ma se le cose non cambieranno sono realmente
preoccupata per il futuro”.
Tratto da:
http://scuolaviolenta.blogspot.com
Fonte: www.055news.it 16/05/2008 Pubblicato dal Gianluca Lovreglio
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mercoledì 16 ottobre 2013
L'ansia non giova: non opprimere i figli con l'idea della scuola...
Non opprimere i figli con l'idea della scuola
(di Natalia Ginzburg)
Continua...
(di Natalia Ginzburg)
Al
rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un'importanza
che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la
piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo
indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non
ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che
diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.
Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi
pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento
costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di
chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da
noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non
li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'una
ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo
accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.
In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo,
la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio
dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi
non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E
se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli
intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo
aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere
vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere
ingiustizia noi stessi.
I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché
gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi
dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi,
le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il
dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il
meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente
quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.
Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma
in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della
lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di
rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una
soddisfazione.
Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per
ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna,
neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse
quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione,
che, domani, daranno frutti.
Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo
sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati
in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se
veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'impegno, o se anche
questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché
infinite sono le possibilità dello spirito.
Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico
dell'insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento
o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare
la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità
e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso
li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha
mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo
li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti
confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di
strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi
domani.
Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri
figli non venga mai meno l'amore per la vita, né oppresso dalla paura di
vivere, ma semplicemente in stato d'attesa, intento a preparare se stesso
alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione di un essere umano, se
non la più alta espressione del suo amore per la vita?
(Natalia Ginzurg,
Le
piccole virtù, pubblicato originariamente su "Nuovi
Argomenti" nel 1960)
Continua...
domenica 22 settembre 2013
Carolina non c'è più: è nella gloria di Dio!
Il I Circolo Didattico di Vico Equense
partecipa al dolore dei familiari
e al lutto che ha colpito
tutta la comunità scolastica
tutta la comunità scolastica
per l'improvvisa dipartita
della carissima Carolina Parlato
I funerali si terranno a Montechiaro
domani 23 settembre, alle ore 10.00
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martedì 17 settembre 2013
Papa Francesco sulla scuola e gli insegnanti
Papa Francesco sulla scuola e gli insegnanti
Riflessione dell'allora Cardinale Bergoglio...
CLICCA SUL LINK: http://guamodi.blogspot.it/2013/09/papa-francesco-sulla-scuola-e-gli.html
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venerdì 13 settembre 2013
giovedì 29 agosto 2013
domenica 18 agosto 2013
martedì 23 luglio 2013
Quando i prof vanno in tilt...
Dall'Espresso on line:
Quando i prof vanno in tilt
di Mariangela Vaglio
Ansia, insonnia, depressione,
apparente svogliatezza e scatti d'ira improvvisi. E' la sindrome da
'burn out': una malattia professionale che colpisce gli insegnanti. Un
disagio grave di cui solo ora si inizia a parlare ma che le scuole non
sono in grado di affrontare per la mancanza di formazione di risorse
(22 luglio 2013)
Spesso sono bollati a torto come "fannulloni": sono infatti
insegnanti che ad un certo punto smettono, per così dire di essere
efficienti come il sistema vorrebbe. Fanno fatica a fare lezione, a
concentrarsi, hanno problemi a gestire le classi e i rapporti con
colleghi e genitori. In una parola arrancano o si fermano del
tutto. Ma non è questione di cattiva volontà o "svogliatezza". Sono
insegnanti colpiti, molto spesso, dalla sindrome del burn out, una
patologia che in Italia è quasi completamente sconosciuta eppure
causa danni gravissimi: chi ne è affetto soffre di crisi di ansia,
insonnia, depressione, scatti d'ira improvvisi e ingiustificati; ha
l'impressione di non riuscire più a controllare le cose da fare e
tenere dietro ai mille impegni, rispettare le scadenze, fra
normative che cambiano in continuazione, classi sempre più
numerose, genitori pronti alla contestazione continua dei metodi di
insegnamento e dei voti, tagli al budget e precariato
diffuso.
La categoria professionale degli insegnanti è la più colpita da una serie di disturbi che solo oggi cominciano ad essere riconosciuti nelle letterature specialistiche come correlate strettamente al lavoro che svolgono, cioè malattie professionali, esattamente come sono correlati al lavoro alcune patologie fisiche di operai in reparti a rischio: il costante impegno con i ragazzi in una età problematica, i rapporti sempre più difficili con le famiglie, lo scarso riconoscimento sociale del proprio ruolo, il senso di essere costantemente giudicati da tutti e accusati di non essere all'altezza. Tutte queste ansie e le relative frustrazioni spesso causano negli insegnanti contraccolpi psicologici fortissimi, che li rendono alla fine inadatti a svolgere un lavoro per altro, molto spesso amatissimo: sono infatti, paradossalmente, gli insegnanti più coinvolti nella scuola, quelli che danno la vita per il loro mestiere, che rischiano di più il burn out.
Un libro recente, "Pazzi per la scuola", di Vittorio Lodolo D'Oria, ha analizzato il problema del burn out: l'autore, che da anni si occupa di seguire docenti in crisi, sottolinea come non solo il problema sia tragicamente sottovalutato, ma come nella scuola italiana manchi molto spesso qualsiasi struttura per farvi fronte: non esistono convenzioni con psicologi che possano monitorare i docenti a rischio e spesso i Dirigenti Scolastici non sono neppure formati per affrontare il problema e lo scambiano con una generica "svogliatezza" o scarsa resa del docente, colpevolizzandolo ancora di più. Il risultato è che se un insegnante comincia a manifestare problemi di esaurimento, nessuno se ne occupa davvero finché non si manifestano episodi gravi, e anche allora non è ben chiaro come si possa aiutarlo o riconvertirlo.
Gli insegnanti spesso non sanno a chi rivolgersi: alcune testimonianze sono state raccolte e diffuse dalla rete, per esempio sul sito di una docente, Isabella Milani, e sono strazianti: "Sono veramente delusa e amareggiata, mi sento un fallimento completo. Ero andata lì piena di belle speranze, felice di stare con i bambini... ed è veramente frustrante vedere che i bambini non mi ascoltano, non mi seguono, non hanno alcun rispetto di me. Torno a casa dopo quattro o sei ore in quella classe senza voce e più che mai avvilita, mi viene da piangere." Racconta Alessandra, maestra; Sonia rincara la dose: "Ho bisogno di aiuto, mi sento un disastro come insegnante, quando mi trovo a gestire una classe ognuno fa quello che vuole: impiego molto tempo per "prepararmi" per affrontare la lezione e mi riempio di ansia e stress tale, da soffrire di mal di testa e di spossatezza, e quando sono stanca non riesco neanche a parlare bene".
Le storie raccolte sono decine, non si può parlare di un fenomeno isolato. Secondo Isabella Milani uno dei problemi fondamentali è la solitudine degli insegnanti: «Nella scuola, o hai la fortuna (rara) di imbatterti in un bravo dirigente, o sei solo. Nessuno ti ha aiutato prima e nessuno ti aiuta durante. Non mi risulta che ci siano programmi di formazione per spiegare come affrontare il problema. Ci sono insegnanti, giovani, ma anche meno giovani, per i quali entrare in classe è come entrare nella fossa dei leoni.» Secondo la Milani, e il problema emerge anche dagli studi di Lodolo D'Oria, i Dirigenti Scolastici non sono sempre in grado di gestire il problema: «Credo che spesso siano i dirigenti stessi quelli che non aiutano gli insegnanti. Quando non sono proprio loro a creare un clima intimidatorio nei confronti di chi si ribella a una gestione personalistica della scuola.»
La categoria professionale degli insegnanti è la più colpita da una serie di disturbi che solo oggi cominciano ad essere riconosciuti nelle letterature specialistiche come correlate strettamente al lavoro che svolgono, cioè malattie professionali, esattamente come sono correlati al lavoro alcune patologie fisiche di operai in reparti a rischio: il costante impegno con i ragazzi in una età problematica, i rapporti sempre più difficili con le famiglie, lo scarso riconoscimento sociale del proprio ruolo, il senso di essere costantemente giudicati da tutti e accusati di non essere all'altezza. Tutte queste ansie e le relative frustrazioni spesso causano negli insegnanti contraccolpi psicologici fortissimi, che li rendono alla fine inadatti a svolgere un lavoro per altro, molto spesso amatissimo: sono infatti, paradossalmente, gli insegnanti più coinvolti nella scuola, quelli che danno la vita per il loro mestiere, che rischiano di più il burn out.
Un libro recente, "Pazzi per la scuola", di Vittorio Lodolo D'Oria, ha analizzato il problema del burn out: l'autore, che da anni si occupa di seguire docenti in crisi, sottolinea come non solo il problema sia tragicamente sottovalutato, ma come nella scuola italiana manchi molto spesso qualsiasi struttura per farvi fronte: non esistono convenzioni con psicologi che possano monitorare i docenti a rischio e spesso i Dirigenti Scolastici non sono neppure formati per affrontare il problema e lo scambiano con una generica "svogliatezza" o scarsa resa del docente, colpevolizzandolo ancora di più. Il risultato è che se un insegnante comincia a manifestare problemi di esaurimento, nessuno se ne occupa davvero finché non si manifestano episodi gravi, e anche allora non è ben chiaro come si possa aiutarlo o riconvertirlo.
Gli insegnanti spesso non sanno a chi rivolgersi: alcune testimonianze sono state raccolte e diffuse dalla rete, per esempio sul sito di una docente, Isabella Milani, e sono strazianti: "Sono veramente delusa e amareggiata, mi sento un fallimento completo. Ero andata lì piena di belle speranze, felice di stare con i bambini... ed è veramente frustrante vedere che i bambini non mi ascoltano, non mi seguono, non hanno alcun rispetto di me. Torno a casa dopo quattro o sei ore in quella classe senza voce e più che mai avvilita, mi viene da piangere." Racconta Alessandra, maestra; Sonia rincara la dose: "Ho bisogno di aiuto, mi sento un disastro come insegnante, quando mi trovo a gestire una classe ognuno fa quello che vuole: impiego molto tempo per "prepararmi" per affrontare la lezione e mi riempio di ansia e stress tale, da soffrire di mal di testa e di spossatezza, e quando sono stanca non riesco neanche a parlare bene".
Le storie raccolte sono decine, non si può parlare di un fenomeno isolato. Secondo Isabella Milani uno dei problemi fondamentali è la solitudine degli insegnanti: «Nella scuola, o hai la fortuna (rara) di imbatterti in un bravo dirigente, o sei solo. Nessuno ti ha aiutato prima e nessuno ti aiuta durante. Non mi risulta che ci siano programmi di formazione per spiegare come affrontare il problema. Ci sono insegnanti, giovani, ma anche meno giovani, per i quali entrare in classe è come entrare nella fossa dei leoni.» Secondo la Milani, e il problema emerge anche dagli studi di Lodolo D'Oria, i Dirigenti Scolastici non sono sempre in grado di gestire il problema: «Credo che spesso siano i dirigenti stessi quelli che non aiutano gli insegnanti. Quando non sono proprio loro a creare un clima intimidatorio nei confronti di chi si ribella a una gestione personalistica della scuola.»
Continua...
venerdì 19 luglio 2013
Quale inclusione? Riflessione estiva...
Quale inclusione? Riflessioni critiche sui bisogni educativi speciali/ Il dibattito sui BES
Scritto da Alain Goussot 19 Luglio 2013. Categoria: Scuola e università
Mi
permetto di proporre alcune riflessioni in riferimento al dibattito in
corso nel mondo della scuola e degli ambienti pedagogici sulla questione
dei cosiddetti ‘bisogni educativi speciali’ che ha trovato una sua
esplicita formalizzazione nei documenti del Miur di dicembre 2012 e
marzo 2013. Considero la questione estremamente delicata e complessa ma
anche importante poiché è il riflesso di una concezione della scuola e
di una visione della gestione delle differenze in termini di
apprendimento, crescita individuale e collettiva. In sostanza ne va del
modello di società che vogliamo costruire formando le future generazioni
e quindi della nostra idea di democrazia. Faccio rapidamente alcune
considerazioni e pongo alcuni quesiti sui quali invito il mondo della
scuola ma anche dell’educazione in generale a riflettere seriamente:
I rischi della logica differenzialistica e delle stigmatizzazioni sofisticate
Ricordo che nel 1977 con la legge sull’integrazione scolastica degli
alunni disabili nella scuola di tutti si superava , almeno così si
pensava allora, la logica differenzialistica delle classi differenziali ,
delle scuole speciali e delle sezioni ghetto. Si affermava il principio
dell’eguaglianza delle opportunità nell’accesso all’istruzione e
all’educazione predisponendo strumenti e risorse (vedi insegnante di
sostegno) per favorire lo sviluppo delle potenzialità di tutti gli
alunni tramite una attività pedagogica accogliente, in grado di
promuovere l’individualizzazione dei percorsi di apprendimento e
l’attività di gruppo (produttrice di esperienze di socialità). Tutto
andava quindi nella direzione di lottare contro l’esclusione, la
marginalizzazione e la stigmatizzazione/inferiorizzazione dell’alunno
disabile. Negli anni si sono sviluppate esperienze didattiche e
pedagogiche ricche di innovazione ma sono anche emerse molti limiti e
tante criticità. Con una direttiva del 2010 il ministero pone la
questione degli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento
(dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia); si promuovono corsi
di formazione per insegnanti (curriculari e di sostegno). Comincia a
porsi una domanda: se è giusto essere attenti al fenomeno dei DSA non
v’è il rischio di una identificazione rapida tra difficoltà di
apprendimento e disturbi specifici? Non v’è anche il rischio di
accentuare lo sguardo clinico-diagnostico a scapito dello sguardo
pedagogico che dovrebbe essere quello dell’insegnante? Abbiamo anche
visto gli alunni con ADHD (sindrome da deficit di attenzione e
ipertattività); anche qui una nozione e categoria ambigua e molto
discussa: cosa vuol dire? Chi sono? Quale attenzione pedagogica da parte
dell’insegnante (una volta lo psicopedagogista francese Henri Wallon
parlava di ‘bambino turbolento’; si capisce che dire turbolento e dire
iperattivo non è la stessa cosa, non è lo stesso sguardo; il primo
colloca la questione nell’ambito educativo, il secondo in quello
clinico-sintomatologico). Adesso abbiamo i BES: chi sono? In parte si
riprende alcune categorie precedenti e si aggiunge: gli alunni con
difficoltà di apprendimento (quale alunno non presenta difficoltà di
apprendimento?), gli alunni con disagio psico-sociale (la povertà
sociale è un problema?), quelli con difficoltà linguistico culturali
(l’essere figlio/a d’immigrati è un problema?), gli alunni con un
‘funzionamento intellettivo limite’ (cosa vuol dire esattamente?).
Insomma una ulteriore categoria insieme ambigua, generica e anche
funzionale al paradigma clinico-diagnostico-terapeutico che sta
colonizzando culturalmente la scuola e la società. Faccio notare che le
categorie usate non sono per niente neutrali e che mentre la logica
differenzialistica tende a produrre e riprodurre diseguaglianze
(stigmatizzazioni sofisticate) il riconoscimento delle differenze passa
tramite un’azione pedagogica basata sul principio di eguaglianza
nell’accesso ai saperi e alle conoscenze. Insomma la logica
differenzialistica delle categorizzazioni continue non ha nulla a che
fare con il riconoscimento delle differenze.
Quale inclusione?
Anche sulla questione dell’inclusione occorre confrontarsi e chiarire
meglio di cosa stiamo parlando. Per anni si è parlato di integrazione,
in particolare in riferimento all’integrazione scolastica e sociale
degli alunni con disabilità (distinguendo la disabilità-prodotta da un
deficit sensoriale, motorio, intellettivo dall’handicap prodotto o
conseguenza socio-culturale, ostacoli generati dalla società
nell’interazione con il soggetto con disabilità); si diceva che fosse
importante creare delle opportunità e delle situazioni educative e
formative in grado di rimuovere barriere e ostacoli. Di modificare
tramite la mediazione dell’azione educativa pregiudizi e situazioni
handicappanti produttrici di esclusione, autoesclusione e
stigmatizzazione/interiorizzazione. Poi da alcuni anni si è cominciato a
parlare d’inclusione, precisando che si voleva sottolineare che il
cambiamento non poteva essere a senso unico ma reciproco (soggetto e
ambiente). Troviamo queste considerazioni già nei lavori dello
psicopedagogista sovietico Lev Vygotskij che parla di mediazioni: quello
che oggi vengono definite con le espressioni strumenti compensativi e
dispensativi (uso di tecniche, ausili e di accompagnamento e supporti).
Produrre esperienze di apprendimento mediato per favorire lo sviluppo
delle potenzialità di tutti gli alunni, appunto in una prospettiva
d’integrazione e/o d’inclusione. Ma sorge un dubbio: se il concetto
d’inclusione è strettamente connesso agli indirizzi proposti sui
cosiddetti Bes si muove nella direzione del differenzialismo, allora
cosa vuol dire includere? Un concetto chiave rimane quello di
adattamento funzionale. Quindi si tratta di adattare, per il bene
dell’alunno ‘Bes’ , di ‘normalizzare’, di ‘curare’. di ‘riparare’. Ma a
questo punto non si rischia di riprodurre le diseguaglianze che si
dichiara di volere combattere? Non si rischia di fornire una
giustificazione ‘scientifica’ all’esistenza, purtroppo reale, delle
sezioni ghetto nelle scuole, e, quindi, di riprodurre la logica delle
classi differenziali? Nei documenti del ministero si parla della
valutazione dell’inclusività delle scuole: ma chi si occuperà di questa
valutazione? Quale formazione e competenze avranno i valutatori? Quali
criteri di valutazione saranno utilizzati? Non vorrei che i criteri
(diffusi nei sistemi di valutazione PISA) usati (successo scolastico,
abbandono e dispersione scolastica, autofinanziamento, progettualità
approvate e realizzate) finissero per penalizzare ulteriormente le
scuole delle periferie, le scuole povere dei quartieri emarginati, le
scuole collocate nelle zone ad alta presenza di immigrati… Vorrebbe dire
riprodurre e accentuare le diseguaglianze e essere in contraddizione
con il detto costituzionale della Repubblica italiana. Sono quesiti
posti sia sul piano della riflessione filosofica, pedagogica e
sociologica da eminenti studiosi e pensatori come il tedesco Jurgen
Habermas (l’inclusione dell’altro) e il francese Charles Gardou (la
società inclusiva). Inoltre si pone anche la questione della relazione e
del tipo di collaborazione tra insegnante curriculare e insegnante di
sostegno, ma anche quella del rapporto tra scuola, famiglie e
territorio: è quello che nei loro lavori recenti dei colleghi belgi come
J.P.Pourtois, H.Desmett e B.Humbeeck chiamano ‘processi co-educativi’:
come si costruisce l’alleanza co-educativa tra i diversi attori della
comunità? Come si può attivare e realizzare insieme dei processi di
emancipazione che garantiscono la giustizia nei processi di
apprendimento?
Didattica o didatticismo? La marginalizzazione della pedagogia
La gestione del gruppo classe e l’organizzazione degli apprendimenti
sono due aspetti fondamentali dell’attività docente. La tendenza va
sempre di più (lo si vede nella formazione stessa del personale docente)
nella direzione delle procedure didattiche, della tecnologia didattica,
dell’uso degli strumenti; si sostituisce la didattica come processo
vivo (che implica la relazione complessa tra docente, alunni, metodi ,
strumenti, comunità scolastica) con il didatticismo inteso come
procedura. Interessante notare che la figura dell’alunno come soggetto
significante del processo d’insegnamento/apprendimento è assente. Se è
presente lo è solo come fonte di problema. Il rischio è di vedere
l’insegnante diventare un operatore della diagnosi e della procedura
tecnica per valutare la performance dell’alunno in termini stretti
d’istruzione (come se istruzione e educazione non fossero interconnesse
in modo vivo nell’esperienza in classe). La pedagogia (quindi la
formazione pedagogica dell’insegnante che dovrebbe andare a caccia di
risorse, capacità, potenzialità e non di ‘comportamenti problema’) viene
marginalizzata nella cultura scolastica e colonizzata dallo sguardo di
una certa psicologia clinica. Non a caso i documenti ministeriali non
fanno praticamente mai riferimento alla lunga e ricca esperienza delle
pedagogie attive e dell’educazione nuova; ancora meno di quelle prodotte
dalla pedagogia speciale.
Quale modello organizzativo, quale politica? Logica burocratica o democratica?
Si parla di docenti esperti e preparati sui ‘BES’ , si parla di
Centri territoriali per l’inclusione: ma cosa vuol dire in modo preciso?
Chi saranno questi docenti esperti dei BES ? Quale formazione avranno?
Quali compiti e competenze? Che fine faranno gli insegnanti
specializzati o di sostegno? Vediamo in tutto questo una risposta
tecnocratica-burocratica ad una questione di ordine culturale,
pedagogica e sociale; di nuovo vediamo una scuola e un corpo docente
deprivato del proprio protagonismo, della possibilità di partecipare
all’analisi e anche all’elaborazione di proposte concrete per favorire
l’effettiva eguaglianza delle opportunità per tutti gli alunni
nell’accesso all’istruzione e all’educazione. V’è bisogno del contributo
degli insegnanti che ogni giorno attivano delle esperienze pedagogiche e
didattiche nelle loro classi, che ogni giorno affrontano la complessità
e le difficoltà del mestiere dell’insegnante in una società sempre più
atomizzata e individualistica. Gli alunni portano a scuola le
contraddizioni che vivono nelle loro famiglia e che produce una società
che fa di ognuno un consumatore-spettatore e non un soggetto
responsabile consapevole del legame tra individualità e comunità, tra
diritti e doveri, tra desideri personali e bene comune. Gli insegnanti
vanno coinvolti non come destinatari di indagini predisposte da pool di
esperti, non come mere esecutori di direttive ministeriali o di tecniche
specializzate ma come attori/autori in grado di produrre senso e di
fornire, tramite la loro pratica, proposte e indicazioni per un
rinnovamento della nostra scuola repubblicana.
Mi fermo qui. Sono solo alcuni spunti di riflessione; sono convinto
che occorre rimettere al centro l’azione pedagogica e promuovere un
autentico confronto dando voce agli operatori della scuola, agli
insegnanti, agli educatori, ma anche agli alunni e ai genitori che
spesso si trovano a dovere fare delle scelte senza capire di cosa si sta
parlando. Ne va del futuro dei nostri figli, della scuola della
Repubblica e anche del futuro della democrazia in questo paese.
Continua...
domenica 14 luglio 2013
IL GRIDO DI MALALA, 16 ANNI
IL GRIDO DI MALALA, 16 ANNI.
"Voglio il diritto all'istruzione
per tutti i bambini, anche per i figli dei terroristi, degli estremisti e
dei talebani. Se ci fo...sse
un’arma nelle mie mani e un talebano davanti a me non gli sparerei. È
la pietà che ho imparato da Maometto, Gesù Cristo, Buddha. Da Martin
Luther King, Nelson Mandela, Gandhi e Madre Teresa. È la pietà che ho
imparato da mia madre e mio padre".
Malala Yousafzai, 16 anni compiuti l'altro ieri, ha avuto il coraggio di gridare queste parole all'Assemblea dei Giovani all'ONU.
Malala lotta per i diritti delle donne in Pakistan contro l'estremismo islamico. È la persona più giovane mai candidata al Nobel per la Pace.
"Non sarò ridotta al silenzio dai talebani".
"I talebani hanno paura del potere delle donne. Per questo uccidono, perché hanno paura".
Urla a difesa di tutte le ragazze pakistane che, sotto la costante minaccia talebana, vedono lesi i propri diritti, fra cui quello all’istruzione. Malala, a seguito dell’attentato del 9 ottobre 2012, è rimasta gravemente ferita, ma quando parla di quel giorno dice: "Pensavano che i proiettili potessero zittirci. Ma hanno fallito. Da quel silenzio si sono alzate migliaia di voci. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’istruzione li spaventa. Hanno paura delle donne e del potere della loro voce".
Malala Yousafzai, 16 anni compiuti l'altro ieri, ha avuto il coraggio di gridare queste parole all'Assemblea dei Giovani all'ONU.
Malala lotta per i diritti delle donne in Pakistan contro l'estremismo islamico. È la persona più giovane mai candidata al Nobel per la Pace.
"Non sarò ridotta al silenzio dai talebani".
"I talebani hanno paura del potere delle donne. Per questo uccidono, perché hanno paura".
Urla a difesa di tutte le ragazze pakistane che, sotto la costante minaccia talebana, vedono lesi i propri diritti, fra cui quello all’istruzione. Malala, a seguito dell’attentato del 9 ottobre 2012, è rimasta gravemente ferita, ma quando parla di quel giorno dice: "Pensavano che i proiettili potessero zittirci. Ma hanno fallito. Da quel silenzio si sono alzate migliaia di voci. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’istruzione li spaventa. Hanno paura delle donne e del potere della loro voce".
Continua...
sabato 29 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
Registro elettronico o cartaceo?
Da Tecnica della scuola:
Pagelle e registri
elettronici sono obbligatori per legge, ma manca ancora il "Piano per la
dematerializzazione" previsto dal DL 95/2012
Le scuole stanno spendendo somme importanti per attrezzarsi; se il Miur
fornisse un proprio software si potrebbe configurare anche l'ipotesi di
danno erariale.
La questione del registro elettronico sta mettendo in difficoltà molte scuole, soprattutto quelle del primo ciclo. In molte scuole superiori la novità è stata introdotta già negli anni passati, ma adesso sta scattando l’obbligo per tutti.
Anche se, a dire il vero, la questione andrebbe approfondita proprio sotto l’aspetto normativo.
In effetti è vero che l’art. 7 (commi 29 e 31) del DL 95/2012 parla di pagelle e registri on line obbligatori a partire dal 2012/2013, ma è anche vero che il comma 27 stabiliva che il Miur avrebbe dovuto adottare entro la fine dell’anno un “Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative”
Piano che probabilmente avrebbe dovuto fornire alle scuole anche il software necessario per gestire pagelle e registri. E così molte scuole si stanno rivolgendo al libero mercato con conseguente aggravio di spesa per i già magri bilanci scolastici (oltretutto se il Miur – come è probabile – dovesse fornire il software per dirigenti scolastici e dsga si sarebbe anche il rischio di incorrere in una ipotesi di danno erariale).
Senza considerare poi gli aspetti pedagogici.
Per esempio di registri elettronici anche nella primaria potrebbero in qualche modo “costringere” i docenti di primaria ad utilizzare i voti anche in corso d’anno in modo da consentire una gestione pressoché automatizzata della pagella a fine quadrimestre.
Una innovazione tecnica apparentemente “neutra” potrebbe insomma provocare cambiamenti significativi nella pratica didattica quotidiana.
Tutta da verificare è poi la problematica relativa alla sicurezza dei dati e al rispetto delle norme sulla privacy.
Non è da escludere che nei prossimi mesi il Miur intervenga sulla materia con un apposito provvedimento; anche per questo la Flc-Cgil già da tempo sta suggerendo alle scuole di procedere con molta cautela e senza fretta.
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venerdì 14 giugno 2013
Sportello d'ascolto alla Scuola dell'Infanzia
IL 18/06/13 ALLE ORE 10,00 C/O
ALLA SCUOLA DELL'INFANZIA SS.TRINITA'
E' APERTO
LO SPORTELLO DI ASCOLTO
(ALUNNI ANNI 3 A.S. 2013/14).
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lunedì 3 giugno 2013
Consegna pagelle
I
DOCUMENTI DI VALUTAZIONE
A.S. 2012/13 -
CLASSI 1^2^3^4^ E 5^
SARANNO
CONSEGNATI ALLE FAMIGLIE IL GIORNO 18 GIUGNO 2013
ALLE ORE 10,30
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venerdì 31 maggio 2013
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Da "INFORMASCUOLA" -Aggiornamenti quotidiani on line sul mondo della scuola-
I materiali didattici degli anni precedenti sono stati archiviati nel sito della scuola, nella sezione "Videoteca-Scuola". Per visionarli cliccare sul seguente indirizzo: http://www.primocircolovico.gov.it/webschool3/index.php
LA NOSTRA SCUOLA
Dall'antico libro della saggezza....
“ Non inducete i ragazzi ad apprendere con severità e violenza, ma guidateli invece per mezzo di ciò che li diverte, affinché possano meglio scoprire l’inclinazione del loro animo” (Platone)