Documento di risposta alla
richiesta di consultazione sul testo “ La buona scuola”
DATA
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29
Ottobre 2014
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LOCALITÀ
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Ancona
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SOGGETTI PROMOTORI
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CVM
– ESCI (Ente formativo accreditato
dal MIUR con decreto 177/2000, art.4 )
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SOGGETTI PARTECIPANTI
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Docenti
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NUMERO DEI
PARTECIPANTI
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Erogatori
del documento lo Staff CVM – ESCI composto da ventidue docenti. Alle attività
dell’Associazione partecipano annualmente
circa seicento docenti.
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Comunità Volontari per il Mondo
– CVM, quale ente formativo accreditato dal MIUR con decreto 177/2000, lavora
da oltre vent’anni per la revisione dei curricoli scolastici in chiave
interculturale insieme alla Ricerca Universitaria più aggiornata. Nel tempo ha
attivato una Ricerca-Azione che congiunge l’Università alla scuola di base per
la sperimentazione di percorsi didattici caratterizzati dalla revisione
epistemologica delle discipline e da modalità di insegnamento interattive. Al
momento la proposta è seguita da istituti scolastici delle Marche e di altre regioni italiane (
Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio,
Abruzzo, Sardegna). Nelle Marche CVM ha siglato protocolli di intesa con la
regione Marche, l’USR, l’Università di Macerata e l’ISC di Petritoli quale scuola capofila di 32
istituzioni scolastiche marchigiane. CVM
è anche capofila del Progetto EuropeAid/131141/C/ACT/Multi:
“Critical review of the historical and social disciplines for a formal
education suited to the global society” - Ref. DCI-NSAED/2012/280-225.
Annualmente CVM organizza a Senigallia,
alla presenza di duecento
docenti, Seminari di Educazione Interculturale promuovendo riflessioni sulla
revisione epistemologica delle discipline, laboratori di didattica operativa e
workshop sulle “buone pratiche” inerenti alla revisione dei curricoli in linea
con i veloci cambiamenti epocali e con l’esigenza di un Nuovo Umanesimo richiesto dalle Indicazioni Nazionali 2012.
Punto 1. Assumere
tutti i docenti di cui la buona scuola ha bisogno
Concordiamo con la
proposta relativa al piano di assunzioni e con la volontà espressa esplicitamente di creare le condizioni per il tempo pieno
nella scuola primaria. Maggiore perplessità desta in noi, invece, l’ipotesi
relativa alla possibilità di
insegnamento di una materia affine a quella per cui l’insegnante è abilitato, per i rischi di perdita di
qualità dell’apprendimento/insegnamento che ciò potrebbe comportare.
Punto 2. Le nuove
opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola
Evidenziamo sia l’importanza data
alla formazione degli insegnanti sia il riconoscimento della costruzione del
pensiero critico quale condizione essenziale dell’educazione. Tuttavia il
testo delinea una sorta di docente ricercatore considerato
“innovatore naturale” in grado di auto formarsi con i colleghi: in
realtà i cambiamenti epocali richiedono oggi la costruzione di nuove
categorie della complessità, che possono essere attivate solo dall’alleanza
tra la
Ricerca Universitaria più avanzata e il mondo
della scuola. La carriera per merito non considera la posizione dell’
allievo. Infatti il riconoscimento della presenza di docenti non bravi
(definiti “peggiori”nel testo) inficia il principio democratico del diritto
all’istruzione da garantire a tutti, per cui devono essere offerte a tutti le stesse opportunità.
Gli articoli 3- 34 della Costituzione Italiana chiedono che tutti i docenti
siano bravi, anzi bravissimi. Pertanto
dissentiamo dal sistema previsto del c.d. 66% e dall'idea di meritocrazia che
esso sottende.
Punto 3. La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura, burocrazia zero
Concordiamo con la scelta di
monitorare le scuole “per conoscere i punti di forza e di debolezza di ogni
singolo istituto” nonché “il sistema educativo nella sua totalità”, ma dissentiamo
rispetto alle modalità proposte nel documento, in base alle quali, in relazione ai dati raccolti, il Sistema
Nazionale di Valutazione (i cui strumenti di analisi dovrebbero essere
approntati dall’Invalsi, secondo la direttiva del ministro Giannini del
18/9/2014) potrà orientare il finanziamento per l’offerta formativa. Tale
finanziamento sarà, infatti, in parte corrisposto in rapporto agli esiti del
piano triennale di miglioramento messo in atto proprio a seguito del processo
di valutazione, con il conseguente riconoscimento premiale per i dirigenti
in relazione al livello di miglioramento
conseguito dal proprio istituto. Riteniamo che i finanziamenti finalizzati al
miglioramento delle scuole dovrebbero essere forniti prima dell’attuazione del
piano triennale proprio per consentire a tutte le scuole – e non solo a quelle
“benestanti” - di conseguire tale fine. Non si può
migliorare se, di fatto, non si hanno le risorse necessarie. Non condividiamo
la visione aziendalistica che, almeno in parte, è sottesa a questa
impostazione: i premi-produttività non appartengono al mondo scolastico che, al
posto delle logiche proprie della competitività e della premialità, dovrebbe adottare i metodi della cooperazione e del
lavoro collettivo che da sempre hanno prodotto i risultati migliori.
Pensiamo che la scuola non
debba essere un supermercato né il docente equiparato ad un prodotto: far
passare il messaggio che i profili della professionalità dei docenti possano
essere oggetto di scelta da parte dei singoli istituti o dei dirigenti
contribuisce a svilire piuttosto che a valorizzare l’immagine del docente
stesso.
In merito ai
presidi-dirigenti rileviamo un passaggio del documento in cui si afferma che
per questo ruolo “serve puntare sullo sviluppo di competenze professionali
connesse alla promozione della didattica e della qualificazione dell’offerta
formativa”(p. 69). Poi si sostiene che i
presidi verranno reclutati con un nuovo sistema, ovvero attraverso il
corso-concorso della Scuola Nazionale di Amministrazione perché “anche i
presidi sono prima di tutto dirigenti” (p.70). Pensiamo sia preferibile
rovesciare i termini, e cioè affermare che quelli che sono ormai da anni
divenuti dirigenti siano però in primo luogo presidi. La specificità educativa
di tale ruolo nel documento a volte viene riconosciuta, ma per essere poi
contraddetta. Auspichiamo che i tratti peculiari di tale figura professionale
siano svincolati dall’ambiguità e che vi sia una maggiore chiarezza rispetto
alla sua funzione che nella scuola dovrebbe tornare ad essere prioritariamente
educativa.
Riteniamo apprezzabile
l’apertura delle scuole il pomeriggio come inizio di un percorso di dialogo con
il territorio, fondato sul “rinnovamento dei tempi e degli spazi della scuola”:
ma ci chiediamo, con quale copertura economica.
Nutriamo forti dubbi sulla
possibilità che un docente impegnato nel pomeriggio in progetti con gli
studenti in una prospettiva di scuola-aperta in collaborazione con le
associazioni educative del territorio (come viene indicato a p. 76), riesca anche a correggere i compiti,
preparare le lezioni, organizzare le verifiche scritte (e tanto altro),
ovvero non si potrà oggettivamente
espletare quel lavoro che, per i docenti di alcune discipline soprattutto,
rappresenta un carico molto oneroso, particolarmente in rapporto a classi dai
numeri talora scandalosamente iperbolici. Ci domandiamo inoltre come saranno
gestite le procedure di accreditamento dei cosiddetti “laboratori del
territorio” pubblici e privati, indicati come “nuovi spazi formativi a
disposizione della scuola, ma non sotto la sua gestione diretta” (p. 77). Per
questo, come per altri aspetti in cui la scuola si relaziona ad enti esterni
(ad esempio le imprese), occorrono regole molto chiare, che si fondino sul
rispetto reciproco dell’autonomia specifica dei soggetti coinvolti.
Pensiamo che si debba
ridurre l’enfasi relativa alla necessità di portare a compimento il processo di
digitalizzazione diffusa degli istituti scolastici segnalata quasi come conditio sine qua non per l’avvio di un
cammino di reale cambiamento. Banda larga, wi-fi , dispositivi informatici
saranno anche strumenti indispensabili nell’attuale contesto socio-culturale,
ma occorre ridimensionare molto (come hanno già fatto altri paesi europei) le
aspettative create dagli esiti potenzialmente positivi prodotti da una
didattica dell’Education 2.0 che
rivela invece molti nodi problematici soprattutto in riferimento alla sua
ricaduta sull’apprendimento degli studenti.
In merito poi alla
digitalizzazione dei servizi amministrativi, ben vengano la trasparenza e lo
sgravio sul fronte burocratico di cui si parla, ma non necessariamente a prezzo
di tagli del personale (gli assistenti amministrativi ad es.) il cui
ridimensionamento numerico è presentato immancabilmente come risparmio di
risorse da reinvestire nella scuola.
Punto 4. Ripensare ciò che si impara a scuola
La parte riguardante il
rafforzamento degli insegnamenti di musica, storia dell’arte e educazione
fisica risulta valida, ma la parte relativa alla nuova alfabetizzazione
dev’essere modificata profondamente nei suoi tre segmenti: apprendimento delle
lingue straniere, alfabetizzazione digitale e conoscenza dell’economia. Il
prezioso apprendimento delle altre lingue non deve sovrapporsi al ruolo della lingua
italiana nell’insegnamento, per cui il progetto del CLIL risulta fuorviante se si sottraggono ore al
ragionamento critico in lingua madre proprio delle discipline umanistiche. L’enfasi sull’alfabetizzazione digitale va
ricondotta nel campo dell’educazione all’uso critico degli strumenti
tecnologici e dello sviluppo dell’alfabetizzazione nell’esperienza del mondo
attraverso le discipline e le relazioni interpersonali vissute nella scuola.
Infine la conoscenza dei principi e del funzionamento dell’economia non può
essere ispirata acriticamente all’ortodossia del liberismo. Essa piuttosto va
orientata al concetto di responsabilità sociale dell’agire economico e alle
molteplici prospettive alternative finalizzate alla costruzione di un’economia
di servizio all’umanità e di rispetto della natura. Il sistema economico
vigente va conosciuto criticamente nei suoi meccanismi ma non preso a modello.
Punto 5 . Fondata sul lavoro
Siamo d’accordo con la scelta di rendere obbligatorio il
percorso di alternanza scuola/lavoro unicamente negli Istituti Tecnici e
Professionali, con le seguenti precisazioni:
che si
consideri prioritario anche in questi ordini di scuola lo spazio dello studio gratuito, volto alla educazione di una mente critica e
libera, e se ne pongano concretamente in essere le condizioni;
che
l’esperienza di alternanza in tutte le sue fasi sia governata dalla Scuola.
Siamo in disaccordo con le dichiarazioni circa la necessità
che orizzonte e metodi della scuola e dell’impresa coincidano: è evidente
infatti che l’azienda produce oggetti a fini di profitto e l’educazione
accompagna soggetti ad esprimersi al meglio come persone, come cittadini, come
membri creativi di una comunità. Alla luce di questo, chiediamo di cancellare
il progetto di un coinvolgimento attivo delle aziende nei percorsi scolastici e
di una formazione congiunta scuola-impresa. Piuttosto, lo Stato deve pretendere
dalla scuola che essa sia una comunità che riesce a elaborare un
pensiero consapevole, maturo, finalmente non conformista, con gli strumenti che
le sono propri: lo studio, il dialogo e
la relazione, un’osservazione e un’esperienza
del mondo, anche nelle sue strutture socioeconomiche e politiche, da una
distanza critica irrinunciabile e con riflessione autonomamente gestita. Invece che affidare i giovani addirittura in
anticipo ad un mercato che si propone come maestro mentre crea un mondo sempre
più diseguale, bisogna riconoscere alla
scuola nei fatti il ruolo principe di servizio formativo che anche la storia e la nostra Carta
Costituzionale le attribuiscono.
Punto 6 Le risorse per la buona scuola pubbliche e
private.
Dopo un ottimo incipit in cui si afferma che la scuola deve
rappresentare una priorità per il Paese che in essa deve investire risorse ed
energie e dopo aver giustamente evidenziato il legame tra scuola e società, riteniamo contradditorio affermare
che l’investimento nella scuola non deve
essere considerato solo una voce di spesa della PA, ma anzi la scuola deve
attrarre a sé molte risorse private.
Noi riteniamo che sia un’ammissione di perdita dell’importanza del welfare state a danno delle scuole periferiche e più povere. I servizi
fondamentali vanno assicurati parimenti a tutti
con un’ equa ripartizione delle tasse facendo leva sui grandi patrimoni.
Ne deriva una scuola classificata secondo il contesto economico che la circonda
e le potenzialità manageriali dei dirigenti. Piccolo paese con poche risorse,
povera scuola. Inoltre l’entrata di risorse extrastatali provoca una maggior
privatizzazione della scuola; per i privati l’interesse sarà conseguire
profitto economico entrando nei Consigli di Istituto con la possibilità di
legare gli allievi al ruolo di potenziali clienti. La scuola è pubblica e così
deve restare, non si deve piegare alla logica del profitto. Affermare che le
risorse pubbliche non saranno mai sufficienti per far fronte alle esigenze
della scuola vuol dire che lo Stato rinuncia al compito di garantire il diritto
all’istruzione di tutti i cittadini.
Giovanna
Cipollari
Coordinatrice di CVM- [1]
[1] CVM ( Comunità Volontari per il Mondo) ESCI ( Educazione alla Solidarietà
Cooperazione Intercultura)
http://www.cvm.an.it/cosa-facciamo/in-italia/didattica/
http://www.cvm.an.it/cosa-facciamo/in-italia/didattica/
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