SCUOLA/ Quando gli adulti "distruggono" il tempo dei bambini
Overwhelmed, sovraccarichi, si intitola il libro di Brigid Shulte, giornalista del Washington Post, che ha acceso un dibattito sul tempo anche da noi. E overwhelmed siamo davvero tutti, a ogni età, bambini e ragazzi compresi.
Preda dell'horror vacui
siamo tentati di riempire ogni spaziettino delle nostre agende pur di
non avere il rischio di fermarci un attimo. Sotto l'assedio
dell'angoscia, infatti, quell'attimo libero potrebbe essere percepito
come un vuoto insopportabile, un male da cui liberarci, un fastidio da
sedare. E allora via con una bulimia di attività che non vede pari nei
tempi passati, dove la soddisfazione cede il passo all'efficienza e dove
ogni possibile piacere si trasforma automaticamente in dovere. Ci
lamentiamo tanto di questo modo di vivere che non sopportiamo, eppure
trascuriamo quanto in realtà sia da noi attivamente procurato e
mantenuto.
I giovani, persino i bambini, hanno spesso
giornate che il Ceo di una multinazionale non invidierebbe loro.
Sveglia, scuola, compiti, calcio-tennis-catechismo-chitarra-inglese,
ancora compiti, gioco, cena, doccia-denti-cartella,
televisione-tablet-computer, sonno. Tutto programmato, anzi rigidamente
schedulato come si usa dire. Ottimizzare il tempo sembra la parola
d'ordine delle nostre giornate, dove ottimizzare significa unicamente
organizzare, farci stare tutto il possibile e se ci riusciamo anche di
più, per un profitto che via via si diluisce fino a smarrirsi del tutto e
sparire. E così in quel tempo che Zygmunt Bauman aveva correttamente
definito liquido finiamo per affogarci dentro davvero.
Pensiamo un attimo ai bambini. Ne incontro
sempre più che alla scuola dell'infanzia fanno già ripetizioni e lezioni
private; la prescrittura e la prelettura sono ormai diventati dei dogmi
pedagogici indiscutibili, soprattutto indiscutibili per il fatto che i
genitori li reclamano a viva voce, facendone anche criterio di scelta
delle scuole. Occorre anticipare tutto, i bimbi devono arrivare a scuola
sapendo già leggere e scrivere, possibilmente anche in una seconda
lingua. Il pensiero che scorre sotto traccia è che così avranno più
chance, così saranno più bravi e soprattutto saranno già i primi, perché
primi nella vita bisogna per forza essere.
Consideriamo la diffusione dell'eduteinment,
il gioco educativo. Persino il momento del gioco - libero per sua
natura, già di per sé capace di attivare e sollecitare l'immaginazione,
la fantasia, la sperimentazione di panni nuovi e diversi - ha bisogno di
essere invaso e occupato da una preoccupazione pedagogica. Allora ti
faccio giocare sì, ma con i giochi educativi che nel contempo ti
insegnano qualcosa, che non ti fanno perdere tempo, che ti portano
avanti, che senza che tu te ne accorga ti istruiscono.
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